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domenica 29 settembre 2013

Le recensioni gusciose: il tragico Luttazzi

Anni fa bazzicavo Milano di rado. Alice viveva qui e io a Parma, e salivo una volta ogni due settimane, più o meno. Una volta venni per la festa di Sant'Ambrogio e lei mi portò al mercatino che si tiene nella basilica dedicata al santo. A parte lo splendore del complesso, avemmo l'occasione di goderci un'esposizione di memorabilia provenienti dal recente passato. E tra questi oggetti degni di nota, mi saltò subito all'occhio un disco pubblicato a nome di Luttazzi. Pensai a un caso di omonimia: ma il retro del cd parlava chiaro, l'autore era proprio il famoso comico Daniele Luttazzi. Non potei fare a meno di comprarlo.

daniele luttazzi money for dope

Salta fuori che Luttazzi ai tempi dell'università (fine anni '70) aveva un gruppo new wave. Nulla di strano fin qui. Alla base del disco stanno proprio alcune canzoni che il comico ha scritto negli anni '70, a cui se ne sono aggiunte molte altre nel corso dei venticinque anni seguenti (il disco è datato 2005). Il corpus di brani ha formato il materiale per il disco, che prende la forma di un concept album (anche se l'autore lo definisce un musical elegiaco).

Sorpresa: nel disco non c'è niente da ridere.

L'album è ispirato alla vicenda di un'amica di Luttazzi, caduta vittima dell'eroina alla fine degli anni '70. Forse per questo l'album non ha avuto grande risonanza: il pubblico spesso pecca di pigrizia, e il comico gli piace quando fa il comico. Se mostra l'altra faccia di sé, il pubblico è poco invogliato a scoprirla. Nel 2005 Luttazzi era certo lontano dagli schermi TV, ma non dai palcoscenici né dalle pagine dei giornali, dove era protagonista. Ma questo disco passò inosservato, anche in rete se ne trovano poche tracce. Eppure non è affatto male.
La scrittura è raffinata, l'interpretazione di Luttazzi ottima, i musicisti fanno un gran bel lavoro. C'è una pecca, gli arrangiamenti. Che non è che siano brutti, né dilettantistici. Ma sembrano non decollare mai e lasciare tutti i brani in una stessa atmosfera, sospesa tra Broadway, una Londra annacquata e la riviera romagnola. Molto standard in ambito musical, e forse proprio per questo poco efficaci. Inoltre, Luttazzi sceglie (o meglio, scelse già dal '79, anno a cui risale la prima composizione) di scrivere e cantare i suoi testi in inglese. Non è un problema in sé, visto che i risultati sono buoni. Ma se già la gravità dell'argomento allontanava il pubblico del comico da quello del musicista, la scelta dell'inglese da parte di un personaggio che sulla parlantina ha costruito la propria fortuna si rivela (a livello di riconoscibilità) perdente.

daniele luttazzi
Dal sito www.ferrucciodallaglio.it

Ed è un peccato. I limiti di quest'opera nascondono, ma non intaccano, i suoi pregi. Luttazzi compone con molta fantasia, cerca soluzioni armoniche non banali. Canta con lo stile di un crooner ma un paio d'ottave sopra, producendo quell'effetto straniante che poi è anche la cifra della sua comicità. L'argomento pesante inibisce ma non sopisce del tutto l'ironia del comico, che viene a galla soprattutto in alcuni brani, come Vienna, Vienna.
Il pezzo più riuscito dell'album è sicuramente la canzone eponima, decima e ultima traccia: Money for dope abbandona gli arrangiamenti altisonanti e si limita a miscelare piano, chitarra elettrica e violoncello. Le parole e la voce di Luttazzi prendono il sopravvento in un'atmosfera rarefatta, su cui si innestano nel finale basso e batteria. Un brano che è sicuramente il tesoro del disco, premio finale di un percorso difficile, pieno degli ostacoli che abbiamo rilevato fin qui.

Credo che Daniele Luttazzi sia stato uno dei protagonisti più positivi di questi ultimi anni. Uno che interpreta il suo ruolo con coerenza, ma con quella coerenza che non sfocia nell'ottusità. La sua comicità intelligente e sopra le righe ne ha fatto un punto di riferimento per un'Italia alla deriva; ma che proprio perché alla deriva lo ha scambiato per un simbolo di libertà politica, mentre trovo che Luttazzi sia un interprete della libertà intellettuale, che comprende quella politica, ma anche molto di più. Tutto questo senza volerne fare un santo o un martire, sia chiaro: è un mestierante, un ottimo mestierante. E la sua capacità di spaziare dal teatro comico a una dimensione musicale tragica ne costituisce una dimostrazione ulteriore.

sabato 6 luglio 2013

Le recensioni gusciose: Tarocchi ed etnofolk

Ci sono delle volte che leggo delle recensioni e dico "ma va' là, la scrivevo meglio io". Con questo post sul blog di Testuggini voglio iniziare a farlo sul serio. Così chi mi legge potrà dire "ma va' là, la scrivevo meglio io". E per dargli ragione, partirò pigliandola larga come mio solito.
A quindici anni mi misi a leggere i tarocchi. Non so se ci credessi davvero, o se semplicemente fu un modo per acquistare interesse agli occhi dei compagni. Propenderei per la seconda ipotesi: e funzionò. Tutti mi dicevano che “ci beccavo”, in realtà sapevo cogliere segnali, interpretare reazioni, andare a parare dove mi portavano i “consultanti” stessi. Non vi illudete: fan tutti così. Io però lo facevo a macca (ossia gratis). Come curiosità, aggiungerò che leggevo su un mazzo anomalo: regalatomi da mia madre (secondo la tradizione, i tarocchi divinatori devono essere regalati), il mazzo (edito da Heraclio Fournier e disegnato da Luis Pena Longa) presenta tra gli arcani maggiori diverse carte anomale rispetto alle tradizionali del tarocco marsigliese, il più diffuso.

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Le carte dalle differenze più vistose,
alcune nel nome, altre nell'iconografia,
altre in entrambe.



Spesi molto tempo e molto impegno nel leggere alcuni libri sui tarocchi. Di tutto questo “studio”, che per la persona che sono oggi potrebbe anche sembrare uno spreco di tempo, mi resta una grande acquisizione: la conoscenza di un universo allegorico e magico racchiuso nei ventidue arcani maggiori; che non reputo certo uno strumento per prevedere il futuro (non si può), né un mazzo di carte da gioco (non ci so giocare), bensì uno strumento meraviglioso che l'uomo ha usato per descrivere se stesso e il suo mondo.

All'universo dei Tarocchi si è ispirato Elias Nardi per un disco uscito alla fine del 2012. Elias Nardi suona l'oud, il liuto arabo. Ho conosciuto questo musicista grazie alla rete. Io stesso ho un oud e lo strimpello, anche nei miei dischi, e dunque ascolto come lo usano gli altri: quando ho sentito come lo usa Nardi mi è venuta voglia di buttare l'oud e tornare alla mia chitarrina, eventualmente al bouzouki. E invece, ho pensato bene di scrivergli e di farmi dare qualche consiglio. Che mi ha elargito senza risparmiarsi.

Il suo The Tarot Album è stato ispirato da una visita al Giardino dei Tarocchi di Capalbio (GR), un posto che vedi due foto e dici "devo andarci". Il disco è pubblicato a nome dell'Elias Nardi Quartet. Il protagonista rimane l'oud di Nardi, ma il basso di Carlo La Manna (che è anche coautore della maggior parte dei brani), le tastiere di Roberto Segato e le percussioni di Zachary J. Baker sono tutt'altro che voci di contorno: veri e propri comprimari, disegnano con perizia l'ambiente entro il quale le corde di Nardi svolgono il proprio discorso. Il livello dei musicisti è altissimo. I giochi di botta e risposta tra gli esecutori sono entusiasmanti, strizzano l'occhio a chi li sa cogliere e ammaliano chi si lascia prendere dalla semplice atmosfera. Perché questo è l'ingrediente principale del disco: le atmosfere, in bilico tra strumenti senza tempo e sonorità futuristiche. E in questo l'opera sembra ricordare le stesse carte da cui trae ispirazione: nate in epoca prerinascimentale, sembrano dipingere un mondo più antico e contemporaneamente modernissimo, tanto che ancora oggi affascinano anche uno scettico patentato come me.


Il Mondo è il ventiduesimo arcano;
io l'ho sempre visto come un feto nel ventre, e questa
è l'immagine che mi suggerisce anche questo brano


Se nel 2013 si può ancora parlare di sperimentalismo in musica, io credo che sia in casi come questo: quando mescolando elementi distanti nello spazio e nel tempo, grazie alla bravura, al gusto e all'intelligenza dei musicisti si ottiene un lavoro dotato di personalità e degno di interesse.
In un mercato discografico come quello italiano, così avaro di idee e di talenti, The Tarot Album è una perla da non farsi scappare. Ed Elias Nardi un artista da marcare stretto.