Pagine

Visualizzazione post con etichetta addio alle scene. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta addio alle scene. Mostra tutti i post

mercoledì 3 luglio 2013

I maestri, capitolo 4: Jacques Brel

Questo Maestro ha un'importanza particolare per Testuggini. Buona parte del CD risente della sua influenza, a partire dalla canzone che apre il CD: Tamperdù. Il tempo perduto che cito nel titolo non è infatti proustiano, ma “brelliano”: è “le temps perdu a savoir comment” che il belga canta in Ne me quitte pas, il primo brano di Brel a cui mi accostai.

Mi sarebbe piaciuto a questo punto mettere il video di Brel che canta Ne me quitte pas, ma purtroppo youtube non consente di incorporare i video del Grand Jacques per rivendicazioni di copyright. Che è giusto e tutto quel che vuoi, ma si risolve solo che ci incollo un link in più, voi il video lo vedete lo stesso e il mio blog è meno bellino da vedere. E allora ci metto un'immagine, va'.

 photo rosso_zps3ae9af45.jpg

Il pezzo mi riporta alla memoria una ragazza, una sconfitta in amore, tante sigarette fumate con rabbia. Per quello straordinario potere che le canzoni hanno, di fissarsi nel tempo e ripetersi, riportando a galla il tempo perduto come una madeleine intangibile.
Il mio primo incontro con Brel avvenne al liceo, ai tempi di Napster. Su Napster però trovai pochi brani, e solo alcuni anni dopo, attorno al 2005, riuscii a procurarmi la discografia completa del Grand Jacques tramite eMule.


Momento nostaglia: i bei tempi
in cui tra avviare il PC, connetterti a internet
e avviare il programma ti era già partito
il pomeriggio (e avevi fatto solo latino)

De André asseriva che Jacques Brel non si potesse solo sentire, che bisognasse anche vederlo: io non sono mai stato d'accordo. Certo, la sua gestualità, la sua presenza scenica, era un valore aggiunto non indifferente. Ma i suoi dischi sono altrettanto eccezionali: i suoi arrangiamenti sono invecchiati, senza dubbio, ma non il suo songwriting; né la sua capacità di coinvolgere anche con la sola voce, di modificare il senso di una parola con una lieve intonazione, con un'incespicatura imprevista. Brel è un interprete che dà la pelle d'oca a ogni ascolto. Parlo per me, ma non solo, credo.

jacques brel chitarra baffi
Brel ai tempi del debutto
sfoggia un paio di baffetti alla Gable



A marzo di quest'anno ho tenuto una lezione-concerto dedicata a Jacques Brel. Si tratta di una delle tante attività organizzate dalla Rigoletto Records, l'associazione di cantautori e musicisti di cui faccio parte. Mi è già capitato di parlarvene, in occasione della presentazione della nostra compilation e della festa della musica. Un'altra delle belle iniziative che abbiamo avviato è stata quella delle lezioni-concerto in biblioteca, promosse in particolare da Alberto Padovani. Sono stato fiero di presentare, a quella lezione, la mia personale traduzione di Le plat pays, che ho intitolato Questa terra, e che è stata inserita nella scaletta di Testuggini ai tempi supplementari.



Nel cd ho voluto rispettare le idee di arrangiamento che c'erano alla base del brano di Brel. Il pezzo era completamente basato su voce e chitarra (è l'unico brano di Brel che lui ha continuato ad accompagnare con la chitarra per tutta la sua carriera), con qualche linea melodica di Ondes martenot (ho cercato di ricalcarle il più fedelmente possibile) e l'ingresso del pieno d'orchestra, come da manuale, sull'ultima strofa.
Brel è stato tra i principali ispiratori della prima cosiddetta "scuola genovese" di cantautori: Tenco, Bindi, Lauzi, Paoli. Autori che hanno gettato le basi di una letteratura della canzone nel cui solco cerco di pormi; lo stesso Guccini racconta che:

Prima di Dylan, la tendenza di tutti [...] era di guardare alla Francia. [...] le atmosfere non potevano non essere che (sic) un po' decadenti ed esistenziali.

Dunque, riallacciarmi al Grand Jacques era un passo inevitabile. Per la nostra Storia, in quanto cantautori; e per la mia storia di piccolo cantautore di provincia, ammaliato da una personalità artistica tanto forte.
Brel abbandonò le scene musicali nel 1966, per seguire altre vie: prima il cinema, poi il viaggio, lo chiamarono a sé. Non fece mai una vera e propria rentrée, ma nel 1977, sapendo di non avere molto da vivere, pubblicò un ultimo disco. Una sorta di testamento spirituale, che veniva aperto da un brano per sole voce e fisarmonica. Il brano è il primo dal sapore smaccatamente politico di Jacques Brél, ed è dedicato a Jean Jaurés, padre fondatore del socialismo francese. È uno dei brani di Brel che amo di più; e visto che Youtube non permette di linkare i video di Brel, ne linko un altro mio, che canto questo pezzo.



L'appuntamento è per il prossimo post, con alcune date nuove da comunicarvi. L'estate non arresta le Testuggini!

giovedì 13 giugno 2013

I miei maestri, capitolo 1: Francesco Guccini

-

Quando dico che sono un cantautore, mi si chiede spesso che tipo di musica faccio. È una domanda a cui rispondo con difficoltà, perché faccio canzoni che hanno la loro maggior identità nella composizione dei testi, ma che musicalmente e come sonorità spaziano anche di parecchio. Il che è una peculiarità un po' di tutti i cantautori: prendiamo la discografia di De André e cerchiamo di dire che genere faceva. O anche quella di Guccini, che musicalmente si è mosso molto meno, ma che non può certo rimanere rinchiuso nei termini di folk o beat delle origini. A volte però dico proprio “faccio musica beat”, perché è un'espressione antiquata quanto la domanda a cui risponde!
Da quando ho iniziato a frequentare Milano, e ancor di più da quando ci vivo, mi sento dire spesso che ricordo Guccini. Sarà l'accento emiliano, sarà che ho la barba più lunga, sarà che ho i capelli più corti e che per le mie navi son quasi chiusi i porti. L'amico Max Manfredi mi ha detto che secondo lui è per il tipo di versificazione che uso. È possibile, anche se dalla seconda metà degli anni '80 le “parole per verso” del Maestrone si sono moltiplicate in modo esponenziale, (1964, scriveva l'incipit “Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente”; 1987, “Ma come vorrei avere i tuoi occhi spalancati sul mondo come carte assorbenti e le tue risate pulite e piene quasi senza rimorsi o pentimenti”, e via di broncodilatatori) mentre io mi attengo a una metrica più quadrata. Che non è meglio né peggio; anzi no, a giudicare i miei risultati rispetto ai suoi è peggio. Vabbè. Comunque, il discorso che volevo fare all'inizio è che secondo me, per rispondere meglio alla domanda “che musica fai”, vale la pena di spendere due parole per quelli che sono i miei “maestri”. Farò alcuni post, ognuno dedicato a uno di loro. E il primo lo dedico proprio a Francesco Guccini.

francesco guccini

Guccini è stato il primo cantante che ho amato. In casa mia non si ascoltava molta musica, ma mia mamma ascoltava un sacco Guccini. E mi portava anche spesso ai suoi concerti: ne ricordo uno, che devo aver visto proprio da piccino piccino, perché mi addormentai mentre lui suonava. Ed ero stato io a volerlo andare a sentire, perché mia madre mi faceva addormentare cantandomi Il vecchio e il bambino. Che nell'idea di Guccini parlerebbe di una passeggiata in un mondo post-apocalittico. E io mi commuovevo sempre tanto, e piangevo sul finale. E uno fa due più due e si spiega come mai son venuto su così fuori di melone.

Quando iniziai a studiare chitarra classica avevo 12 anni. Mi facevano fare un sacco di esercizi, che solo molto più tardi mi sarei accorto quant'erano utili. Io mi stufavo perché non capivo in che modo fare plin plin plin sulle corde singole mi fosse utile, quando Guccini dava delle mazzate alle corde tutte assieme e faceva delle robe molto più belle. Così mollai il corso dopo due anni. Poi scoprii che quelle “mazzate alle corde tutte assieme” si chiamavano accordi, e che non era così difficile farli. Mi comprai un libretto degli accordi, con tutte le posizioni immaginabili. Mio zio Pietro (che ha fatto la foto di copertina di Testuggini) mi prestò un canzoniere tascabile di Guccini. Passai la prima superiore a studiare l'opus Guccinii anziché le materie di scuola (solo il latino). Le prime volte che suonavo la chitarra in compagnia sapevo fare solo canzoni di Guccini. Questo mi diede presto la possibilità di studiare la chitarra incessantemente senza essere distratto dagli amici.
Rinnovai il repertorio grazie al millenote (che credo sia una pubblicazione clandestina, oltre che fatta un po' con le chiappe, che abbiamo avuto tutti).



rocco rosignoli millenote
Il mio vissutissimo Millenote


Quel millenote è stato il mio libro sacro per un sacco di tempo; assieme a un altro librone di spartiti di Guccini, un po' più accurato di quello su cui avevo imparato i primi pezzi. In quel periodo della mia vita, oltre a suonare quasi esclusivamente Guccini, ascoltavo quasi esclusivamente i suoi dischi (anzi, le sue musicassette). E forse questo, più che l'accento e le altre questioni, spiega come mai io lo ricordi tanto a chi mi sente: è un autore che ho dentro, fin nel profondo. È stato il primo che ho ascoltato in maniera sistematica, dalle sue origini fino ai dischi a me contemporanei. Più tardi spesi paghette su paghette per comprarmi tutti i cd originali (che tra l'altro erano stampati un po' con le chiappe pure quelli, coi libretti che avevan le pagine in sequenza casuale, refusi a go-go, testi tagliati a metà... grazie EMI).

Guccini è stato senz'altro il primo grande maestro da cui ho scelto di imparare. Che poi io ne sia stato in grado è tutto un altro discorso. Da qualche mese si sa che non canterà più. Ma a dirla con sincerità, la cosa mi lascia abbastanza indifferente. L'amore che porto alla sua opera non cambierà, e i suoi dischi sono ancora lì (non più in cassetta, non più in CD, ormai li ho tutti acquisiti su iTunes). Sarà che, come diceva Guccini stesso dall'alto della sua saggezza:

    La canzone è il fatto di un momento, che serve per altri momenti.

Il momento per il quale sono servite a me le sue canzoni è stato intenso, cruciale, decisivo. E se mi piace ciò che sono oggi, il merito va anche a quelle canzoni, che per un adolescente un po' complessato avevano forse più peso delle sagge parole della mamma e dello zio.
Dice ancora Guccini delle canzoni:

    Non ci sono né trascendenze né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare ugualmente con molta serietà come ancora spero e mi illudo di fare.

Ora che Guccini ha scelto di non cantare più, vorrei fare mie queste parole, questa speranza, questa illusione. Non per farmi suo erede (magari!), ma per seguire il suo esempio, quello di chi ha costruito un'estetica della canzone nell'arco di una carriera ultracinquantenaria, con intelligenza e saggezza. Senza perdere la semplicità. Spero, in Testuggini, di esserci riuscito.


francesco guccini

Domani, 14 giugno 2013, Francesco Guccini compie 73 anni. Gli faccio i miei auguri e, sperando che gli arrivi, gli mando il mio immenso "grazie".