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giovedì 13 giugno 2013

I miei maestri, capitolo 1: Francesco Guccini

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Quando dico che sono un cantautore, mi si chiede spesso che tipo di musica faccio. È una domanda a cui rispondo con difficoltà, perché faccio canzoni che hanno la loro maggior identità nella composizione dei testi, ma che musicalmente e come sonorità spaziano anche di parecchio. Il che è una peculiarità un po' di tutti i cantautori: prendiamo la discografia di De André e cerchiamo di dire che genere faceva. O anche quella di Guccini, che musicalmente si è mosso molto meno, ma che non può certo rimanere rinchiuso nei termini di folk o beat delle origini. A volte però dico proprio “faccio musica beat”, perché è un'espressione antiquata quanto la domanda a cui risponde!
Da quando ho iniziato a frequentare Milano, e ancor di più da quando ci vivo, mi sento dire spesso che ricordo Guccini. Sarà l'accento emiliano, sarà che ho la barba più lunga, sarà che ho i capelli più corti e che per le mie navi son quasi chiusi i porti. L'amico Max Manfredi mi ha detto che secondo lui è per il tipo di versificazione che uso. È possibile, anche se dalla seconda metà degli anni '80 le “parole per verso” del Maestrone si sono moltiplicate in modo esponenziale, (1964, scriveva l'incipit “Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente”; 1987, “Ma come vorrei avere i tuoi occhi spalancati sul mondo come carte assorbenti e le tue risate pulite e piene quasi senza rimorsi o pentimenti”, e via di broncodilatatori) mentre io mi attengo a una metrica più quadrata. Che non è meglio né peggio; anzi no, a giudicare i miei risultati rispetto ai suoi è peggio. Vabbè. Comunque, il discorso che volevo fare all'inizio è che secondo me, per rispondere meglio alla domanda “che musica fai”, vale la pena di spendere due parole per quelli che sono i miei “maestri”. Farò alcuni post, ognuno dedicato a uno di loro. E il primo lo dedico proprio a Francesco Guccini.

francesco guccini

Guccini è stato il primo cantante che ho amato. In casa mia non si ascoltava molta musica, ma mia mamma ascoltava un sacco Guccini. E mi portava anche spesso ai suoi concerti: ne ricordo uno, che devo aver visto proprio da piccino piccino, perché mi addormentai mentre lui suonava. Ed ero stato io a volerlo andare a sentire, perché mia madre mi faceva addormentare cantandomi Il vecchio e il bambino. Che nell'idea di Guccini parlerebbe di una passeggiata in un mondo post-apocalittico. E io mi commuovevo sempre tanto, e piangevo sul finale. E uno fa due più due e si spiega come mai son venuto su così fuori di melone.

Quando iniziai a studiare chitarra classica avevo 12 anni. Mi facevano fare un sacco di esercizi, che solo molto più tardi mi sarei accorto quant'erano utili. Io mi stufavo perché non capivo in che modo fare plin plin plin sulle corde singole mi fosse utile, quando Guccini dava delle mazzate alle corde tutte assieme e faceva delle robe molto più belle. Così mollai il corso dopo due anni. Poi scoprii che quelle “mazzate alle corde tutte assieme” si chiamavano accordi, e che non era così difficile farli. Mi comprai un libretto degli accordi, con tutte le posizioni immaginabili. Mio zio Pietro (che ha fatto la foto di copertina di Testuggini) mi prestò un canzoniere tascabile di Guccini. Passai la prima superiore a studiare l'opus Guccinii anziché le materie di scuola (solo il latino). Le prime volte che suonavo la chitarra in compagnia sapevo fare solo canzoni di Guccini. Questo mi diede presto la possibilità di studiare la chitarra incessantemente senza essere distratto dagli amici.
Rinnovai il repertorio grazie al millenote (che credo sia una pubblicazione clandestina, oltre che fatta un po' con le chiappe, che abbiamo avuto tutti).



rocco rosignoli millenote
Il mio vissutissimo Millenote


Quel millenote è stato il mio libro sacro per un sacco di tempo; assieme a un altro librone di spartiti di Guccini, un po' più accurato di quello su cui avevo imparato i primi pezzi. In quel periodo della mia vita, oltre a suonare quasi esclusivamente Guccini, ascoltavo quasi esclusivamente i suoi dischi (anzi, le sue musicassette). E forse questo, più che l'accento e le altre questioni, spiega come mai io lo ricordi tanto a chi mi sente: è un autore che ho dentro, fin nel profondo. È stato il primo che ho ascoltato in maniera sistematica, dalle sue origini fino ai dischi a me contemporanei. Più tardi spesi paghette su paghette per comprarmi tutti i cd originali (che tra l'altro erano stampati un po' con le chiappe pure quelli, coi libretti che avevan le pagine in sequenza casuale, refusi a go-go, testi tagliati a metà... grazie EMI).

Guccini è stato senz'altro il primo grande maestro da cui ho scelto di imparare. Che poi io ne sia stato in grado è tutto un altro discorso. Da qualche mese si sa che non canterà più. Ma a dirla con sincerità, la cosa mi lascia abbastanza indifferente. L'amore che porto alla sua opera non cambierà, e i suoi dischi sono ancora lì (non più in cassetta, non più in CD, ormai li ho tutti acquisiti su iTunes). Sarà che, come diceva Guccini stesso dall'alto della sua saggezza:

    La canzone è il fatto di un momento, che serve per altri momenti.

Il momento per il quale sono servite a me le sue canzoni è stato intenso, cruciale, decisivo. E se mi piace ciò che sono oggi, il merito va anche a quelle canzoni, che per un adolescente un po' complessato avevano forse più peso delle sagge parole della mamma e dello zio.
Dice ancora Guccini delle canzoni:

    Non ci sono né trascendenze né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare ugualmente con molta serietà come ancora spero e mi illudo di fare.

Ora che Guccini ha scelto di non cantare più, vorrei fare mie queste parole, questa speranza, questa illusione. Non per farmi suo erede (magari!), ma per seguire il suo esempio, quello di chi ha costruito un'estetica della canzone nell'arco di una carriera ultracinquantenaria, con intelligenza e saggezza. Senza perdere la semplicità. Spero, in Testuggini, di esserci riuscito.


francesco guccini

Domani, 14 giugno 2013, Francesco Guccini compie 73 anni. Gli faccio i miei auguri e, sperando che gli arrivi, gli mando il mio immenso "grazie".

1 commento:

  1. Io ricordo ancora quando imparasti "Venerdì Santo"...come mi piaceva e come era piaciuta alla nonna Rosa!

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