La musica vista da chi la fa e ne ascolta tanta, e gli piace anche parlarne. E inoltre curiosità, notizie, aggiornamenti sull'attività del cantautore e polistrumentista Rocco Rosignoli.
La tensione era tanta ieri sera. La presentazione di Testuggini, un evento pianificato con largo anticipo, promosso in tutti i modi possibili, attesissimo, stava per diventare realtà. Purtroppo un tempo incerto ci ha impedito di svolgere la serata nel Parco Vigna del Mulino, ma l'interno del locale è una location suggestiva, calda e molto adatta alla musica “d'autore”.
Marina Fava, Attilio Poletti ed Enrico Fava
La serata è iniziata attorno a un tavolo, con tutti i miei ospiti e tanti altri amici. Abbiamo riso, scherzato, ci siamo divertiti stemperando l'inevitabile tensione. Gianquinto Vicari, l'oste del Mulino, ci ha trattati bene, servendoci ottimi tortelli e innaffiandoli con del buon vino rosso.
Il locale si riempiva sempre più. Verso le dieci, con un quarto d'ora accademico abbondante, abbiamo dato inizio alle danze. L'amica Marina Fava, frizzante e preparatissima, mi ha fatto una breve, bellissima intervista sul CD e sulla mia storia musicale.
L'intervista pre-concerto di Marina Fava
Poi è iniziato il concerto vero e proprio. Ho voluto impostare la scaletta su una specie di viaggio nel tempo, dalle mie origini come cantautore fino a oggi. Per questo ho voluto sul palco alcuni degli amici che mi hanno accompagnato nella mia avventura musicale.
Il primo ad accompagnarmi è stato Enrico Fava, valente pianista e caro amico, che mi ha aiutato nelle incisioni di Testuggini incidendo il piano per Ultimo valzer per F.D. Io ed Enrico suoniamo insieme da poco, ma ci divertiamo molto. Abbiamo un bel rapporto di amicizia, e sul palco la nostra intesa ne è avvantaggiata. Inoltre, in assenza della titolare, Enri ha portato una bellissima lampada a testuggine di riserva!
Dopo qualche brano in solitaria, è salito sul palco con me Attilio Poletti, con cui fondai I Preadamiti, il primo gruppo con cui proponemmo le nostre canzoni.
Io e Attilio eseguiamo la sua Cattivo stato
Dopo Attilio, è stata la volta di Francesco Pelosi, con cui il numero di ore condivise sul palco raggiunge cifre lentigginose. Abbiamo eseguito a due voci la sua Ode alla giovinezza, che mi ha prestato per l'album "Testuggini". E poi, dal grande repertorio del canto popolare, abbiamo eseguito, a due voci più concertina, il canto Maremma.
L'uditorio è rimasto in silenzio lungo tutto questo viaggio musicale. Affascinati, rapiti, gli spettatori guardavano me e i miei compari in un silenzio rotto solo dagli applausi. Io ero sinceramente emozionato. All'inizio teso, poi sempre meno, e sempre più felice e soddisfatto.
Devo ringraziare tutti gli amici che erano presenti: oltre ai miei ospiti, che non ringrazierò mai abbastanza, i ragazzi della Rigoletto Records: Giovanna, Cristian, Diego, Rolando, Alle e Sara - e anche Pierangelo, il nostro "agente all'Avana"; Ribamar e Franca; la mia famiglia, mia madre con tutti i suoi cugini; Quinto che mi ha ospitato, Emilio che ci ha aiutati coi suoni, e Federica che ha scattato parecchie foto (arriveranno). In particolare, devo ringraziare Massimo Bellei, della Compagnia del Vino, che è stato il tramite tra me e Quinto durante l'organizzazione della serata. E non sarò mai abbastnza grtato all'Alicina, che oltre a sopportarmi quotidianamente ieri mi ha pure gestito il banchetto dei CD.
Le Testuggini salutano e vi danno appuntamento a presto. Sicuramente ci sarà qualche altra apparizione estiva, ancora da confermare. E poi si ripartirà a pieno regime con l'autunno. Grazie a tutti per il supporto, il blog rimarrà attivo e impertinente come sempre!
Ci siamo. Venerdì sera le mie Testuggini vedranno la luce. Oggi, praticamente alla vigilia della presentazione, ho lanciato il brano Canto delle poiane, che avevo già suonato per il mio canale youtube, in un live in livingroom molto apprezzato. Ora è finalmente disponibile la versione in studio.
Tutto è pronto: la scaletta è scritta, gli ospiti sono stati reclutati, avvisati e istruiti. Le cartelle stampa sono pronte alla consegna, e sono molto simpatiche.
La mia tensione è alle stelle. Non vedo l'ora di vivere la sera dell'evento. Registrare il disco è stato un lavoro lungo e difficile. Arrivare pronti all'evento di presentazione è stata una corsa contro il tempo, che ci ha premiati con la consegna in anticipo del lavoro, e con una buona presenza sul web e sulla stampa delle mie Testuggini. A proposito: non fatevi scappare la Gazzetta di Parma in questi giorni, l'amico Pierangelo Pettenati dovrebbe avere una sorpresa per noi...
La consegna in anticipo
Lunedì mi trovavo nel reggiano. Mi squilla il cellulare, non faccio in tempo a rispondere. Quando guardo lo schermo, vedo il numero del mio stampatore: ovviamente ho un colpo! La consegna era prevista per mercoledì (che poi sarebbe oggi), e temo che mi stiano chiamando per avvisarmi che c'è un problema. "Oddio la consegna salta, venerdì non avrò il disco, la serata sarà un flop" e via così.
Invece chiamo e mi dicono che è pronto il CD! Lo stampatore è nel reggiano, ero a dieci minuti da lì. Quando si dice il caso... passo in volata e mi carico i miei bei due scatoloni di Testuggini sulla macchina. Meglio di così...
Un orgoglioso Rocco Rosignoli
mostra il suo Testuggini fresco di stampa.
Non mi resta che darvi appuntamento a venerdì sera. In caso di maltempo, la serata si terrà all'interno del ristorante. E sarà a ogni modo entusiasmante!
Riporto il testo del Comunicato stampa che ho inviato stamattina:
Testuggini, l'uovo si schiude venerdì
Rosignoli presenta il nuovo cd la sera del 28 giugno
Questo venerdì alle 21.30 Rocco Rosignoli presenterà il suo nuovo album Testuggini. La presentazione avverrà nello scenario del ParcoVigna del Mulino di Torrechiara, immerso tra i filari di viti delle colline parmensi. Il ristorante Il Mulino è ben noto agli amanti della canzone: da anni infatti l'oste Gianquinto Vicari è la voce delle Anime Salve, cover band di Fabrizio De André. La serata inizierà con una breve intervista da parte di Marina Fava, speaker radiofonica per Radio Rumore e collaboratrice della Gazzetta di Parma. Durante il concerto Rosignoli sarà affiancato da alcuni ospiti: il pianista Enrico Fava e i cantautori Attilio Poletti e Francesco Pelosi. Testuggini è il terzo album del cantautore parmigiano, dopo Le farmacie di turno (2009) e Uomini e bestie (2011), concept album dedicato al genere horror. Come ha scritto Rosignoli sul blog che accompagna il lancio del cd, “Testuggini parla di me, non parte dal mondo esterno per arrivare eventualmente all'interiorità dell'autore: al contrario, parte da ciò che avevo dentro e cerca di arrivare fino a chi mi ascolta.”
Rocco Rosignoli è un cantautore e polistrumentista parmigiano di stanza a Milano. Suona la chitarra, il mandolino, il bouzouki greco, il basso e la concertina. È stato violinista dei Mè, Pèk & Barba e chitarrista de Il canzoniere delle stagioni. Ha inciso per Riccardo Joshua Moretti, Guido Maria Grillo, Ugo Cattabiani, Francesco Pelosi. Collabora dal vivo con Lee Colbert, voce della Moni Ovadia Stage Orkestra. Testuggini è il suo terzo cd autoprodotto.
Un anno fa esatto io e i ragazzi della Rigoletto Records ci ritrovammo nel Parco Ducale di Parma. C'era la Festa della Musica in città, e alcuni musicisti locali avevano pensato di trasformarla in una raccolta di fondi per le località terremotate. La nostra location era saltata all'ultimo minuto. Senza perderci d'animo, in perfetto stile Rigoletto, decidemmo di organizzarci in modo autonomo. Ci demmo appuntamento al Tempietto dell'Arcadia, finta rovina neoclassica molto suggestiva. A noi si aggiunse Fabrizio Frabetti, cantautore e animatore culturale di grande spessore. Questo era il colpo d'occhio:
Quest'anno, in occasione della Festa della Musica, la Rigoletto Records si è ritagliata uno spazio ufficiale, sempre all'interno del Parco Ducale. Non nel "nostro" tempietto, ma di fronte al palazzetto Eucherio Sanvitale.
Tra le 17 e le 20 ci siamo alternati sul palco quasi tutti. Ha aperto le danze Giovanna Dazzi, amica cantautrice, splendida voce blues. Anche con lei ho percorso parecchia strada: nel 2008 abbiamo partecipato insieme a un fottìo di concorsi su e giù per lo stivale. A un certo punto abbiamo iniziato ad andare via con una macchina sola e abbiamo fatto amicizia alla velocità della luce.
Poi ho cantato io, e in un paio di pezzi mi ha accompagnato Enrico Fava. Che non vedevo da quasi un mese, dalla lezione-concerto di Cortemaggiore. E mi mancava, sia come musicista che come cazzaro professionista (è a livelli altissimi, come tutti noi). A tale proposito, dopo di me ha suonato Francesco Pelosi, ben noto ai miei lettori, come cantautore e come cazzaro. E poi Diego Baruffini, Maria Teresa Lonetti, Lord Scaffardington, il presidente Ugo Cattabiani e, per chiudere in bellezza, Maninblu.
Alla nostra postazione si è presentata la sempre solerte Marina Fava, in missione per la Gazzetta di Parma. Marina introdurrà la serata del 28, in cui presenterò Testuggini. E io l'ho biecamente costretta a fare questa foto:
Non ho perso occasione per fare un paio di foto anche all'onnipresente testuggine, ormai a tutti gli effetti testimonial della campagna stampa del disco! La più bellina è questa qua:
La giornata è stata ricca. Le iniziative della Rigoletto Records lo sono sempre. Siamo un gruppo di persone che, oltre a essere animate da un simile intento nel far musica, va incredibilmente d'accordo. Ci divertiamo come bambini, fino a ridere sguaiatamente - che a volte non sta bene, ma se ti viene proprio naturale tutti son pronti a perdonartelo.
E nel frattempo la data di presentazione di Testuggini si avvicina sempre più: è venerdì prossimo. La mia tensione è al massimo, non vedo l'ora di essere sul palco di Torrechiara a presentare quest'ultimo lavoro. Con tanti amici che son fiero di avere accanto in questa avventura.
Se con Guccini ci sono cresciuto, se Cohen mi ha travolto senza preavviso, Max Manfredi è stato il Maestro che mi sono scelto nella (presunta) maturità. La sua abilità nel giocare con le parole è impreziosita dal suo modo di comporre, che a differenza dei cantautori con cui son cresciuto non si limita a pochi accordi asserviti al testo, ma è fatto di armonie complesse e tempi dispari che con le parole si intersecano, limonano, e tirano di scherma.
Grazie a internet ho scoperto questo grande autore, e sempre grazie a internet sono in contatto diretto con Max più o meno dal 2006; ci sentiamo spesso e ci vediamo di rado; ma una di quelle rare volte che ci siam visti mi ha voluto (bontà sua) a suonare il violino al suo fianco in Cattedrali, che è uno miei brani preferiti.
Max è una persona molto disponibile, e ha accettato di essere intervistato per il blog di Testuggini. Gli ho chiesto se potevo scrivere di lui, ha accettato e s'è offerto di darmi una mano. Naturalmente ho colto la palla al balzo.
RR: Ho un sacco di cose da chiederti, e fatico a decidere da dove partire. Proviamo da qui: avendoti letto e ascoltato per tanto tempo, ho sempre avuto l'impressione netta che ci fosse molta musica nella tua letteratura, e molta letteratura nella tua musica.
MM: Bisogna avere un concetto elastico di letteratura. Letteratura è tutto quello che è stato scritto, e tutto quello che si scrive. In un certo senso anche quel che è scritto su un muro o un biglietto appeso a un negozio fanno letteratura: infatti - altra caratteristica - questi reperti vengono tramandati, vengono memorizzati, magari attraverso una foto su facebook. Oggi tutto è memorizzabile e tramandabile, quindi tutto è letteratura, tutto è materiale letterario. Che poi valga la pena di leggerlo, questo è altro discorso.
Le canzoni sono letteratura anche musicale. Spesso si riferiscono ad altre letterature, anzi, direi sempre; il che non vuol dire, ovviamente, che non siano ANCHE autonome. Letterature letterarie e musicali; come tutte le altre discipline inventive, dalle più sublimi alle più abiette, se è lecito far questi distinguo (io penso che oggi sia insieme illecito e doveroso).
RR: D'altronde, ti richiami consciamente al modello dei trovatori, per i quali musica e poesia erano un tutt'uno... e mi sembra che il set di molte tue canzoni sia il mondo di "vecchio regime" che ha conosciuto la nascita della poesia trobadorica.
MM: Mah, se intendi il mondo medievale dico di no, non è il mio set; anche se alcuni elementi medievali li trovi in quel che scrivo, così come trovi elementi medievali nell'urbanistica e nell'architettura di città europee. Nel mio set ideale vi sono momenti di trovarobato medievale, non c'è dubbio. Ma anche molto di altri secoli, e chissà ancora cosa.
Ma i trovatori dicevano, in effetti, che "un verso senza musica è come un mulino senz'acqua". Ma questo succedeva in determinate aree, mentre in altri contesti la poesia veniva letta ad alta voce. Vero è che la rarità della scrittura non permetteva, allora, di fare a meno del performer. La separazione, l'infelicissimo divorzio fra musica e parola scritta viene dopo. E non sarà mai definitivo.
Mitologicamente sì, una delle mie radici è lì: nella giulleria dei chierici vaganti e nelle canzoni dei trovatori (oggi si direbbe "trovatorato", meno male che nessuno l'ha ancora fatto).
bibliografia ufficiale e filmografia ufficiosa di Max Manfredi
RR: Anche la commistione di stili che metti in opera, miscelando elementi cosiddetti "colti" con altri popolari richiama un immaginario in bilico tra il Medioevo e la prima età moderna. Quanto di quei tempi, dal tuo punto di vista, si rispecchia nei nostri giorni?
MM: Direi piuttosto tra il medioevo e il cyberpunk.
La miscela di colto e volgare, di antico e nuovo, non l'ho inventata io, è presente in tutta la letteratura, compresi i fumetti. C'è in Dante e c'è in Ratman. C'è persino negli spot pubblicitari. Quando si mostra Mozart intento a scrivere sinfonie sulla carta igienica, non è forse un infelice contrappasso della sua felice coprolalìa?
RR: Allo stesso tempo la tua maniera di comporre (liricamente, armonicamente, melodicamente) risulta estremamente contemporanea.
MM: Io dico sempre che sono contemporaneo... a me stesso. E siccome vivo la contemporaneità, con tutti i suoi attriti, scrivo "dalla" contemporaneità. Ma è altrettanto vero che scrivo da un "non tempo", perché la scrittura è un meccanismo sottraente.
Penso di essere, nella musica, uno che si nutre di nostalgie. Si ha anche nostalgia del presente. Ma soprattutto, se parliamo di musica "classica", del passato prossimo!
E poi io non sono, a rigore, un musicista, ma proprio per questo do alla musica delle mie canzoni un'importanza fondamentale. Altro che "piatto di portata" delle parole, come diceva Wolf Biermann parlando della chanson francese!
Se devo scrivere parole scrivo prose o poesie. Ma ultimamente credo di aver smesso. Direi che son più portato alle conversazioni scritte, come questa.
RR: Nel tuo ultimo cd Luna persa, ma anche ne L'intagliatore di Santi, hai lavorato su sonorità e ritmi di cui si incontrano pochi esempi nella letteratura della canzone cosiddetta "d'autore".
MM: Magari li incontri, ma devi andarteli a cercare; e poi non li becchi tutti insieme in un disco! In questo senso Luna persa è un kolossal. Un kolossal che magari ti capita di andare a vedere distribuito in un cinema parrocchiale! E dici "come facevo a non conoscerlo?"
L'emozionante avventura di Luna Persa, brano che dà il titolo al disco
Continua MM: A volte si parla di "canzone d'autore" e non si sa che s'intende, ovvero non la si concreta in esempi individuali.
Se prendi quelli più interessanti, spesso lo sono anche dal punto di vista delle scelte strumentali. Anche restando in Italia, ce n'è dei più disparati, dal Paolo Conte che "ricrea" le orchestrine liofilizzate dal tempo ma vivissime per lo spazio della sua evocazione; al primo lavoro di Alan Sorrenti, che accatastava insieme lirica ingenua, "progressive", vocalità non immediatamente riconoscibile come italiana - ma in realtà in bilico fra i falsettisti rinascimentali e cantanti come Peter Hammil o Tim Buckley.
E che dire del lavoro di De André e Pagani, che in Creuza de ma trasportano strutture sostanzialmente blues nell'alveo delle sonorità della musica mediterranea, utilizzando strumenti che provengono dalle tradizioni etniche? E Bob Dylan o Neil Young, "innovativi" rispetto al folk che tutti si aspettavano per il solo fatto di mettersi a suonare la chitarra elettrica? O le "folie" di Frank Zappa o Captain Beefheart?
Ognuno di noi ha una consapevolezza autoctona, di quel che può cantare.
Ascoltando gli artisti americani, ma anche anglosassoni, noto sempre più l'ingerenza, se non la matrice, del blues. In Italia il blues, per questioni linguistiche, diventa subito parodico e spesso - per motivi sillabici - predilige il dialetto.
Dico che noi magari il blues possiamo pensare di provarlo psicologicamente, ma la nostra lingua non si concede appieno alle sue esigenze.
Conosciamo altre tradizioni musicali, il tango, il fado, il rebetiko, la musica klezmer, quella balcanica. È un caleidoscopio armonico che, negli ultimi decenni, attraverso la rete, è disponibile a tutte le mode e a tutti gli ascolti. È questo il terreno in cui, per forza, ci muoviamo. Ed è, per sua natura, un terreno illimitato, che possiamo frequentare molto limitatamente. È questo il mare solcato anche dalla "piccola navicella" di Luna persa. Altro che "cantautorato". O, come ho letto di recente, "post-cantautorato"!
RR: La domanda che ti faccio a questo punto è: cosa secondo te è innovativo in musica oggi? E ancora: non trovi anche tu che l'aggettivo "innovativo" puzzi tremendamente di vecchio?
MM: Lo sostengo da anni, del resto quel che diciamo è filologicamente e filosoficamente corretto. Solo un cretino può pensare all'arte in senso vettoriale e "progressivo" (ma anche all'etica, alla politica o alla cucina). Come giustamente rimarchi, la contrapposizione categorica fra "nuovo" e "vecchio" fa parte della seconda di queste categorie: è vecchia. Nella fattispecie, si può far risalire ad un'origine romantica prima, positivista poi. Vecchissima, quindi, dal punto di vista cronologico e storico.
Temo però che molti, nel farsi paladini di questa concezione, intendano - più sciaguratamente - affermare un'esigenza di "attualizzazione" dell'operato inventivo. Il che è fantastico perché sostanzialmente può venire sintetizzato così: "siccome questa è una società di merda, anche l'arte deve parlare con lo stesso linguaggio di questa società, cioè essere un'arte di merda. Solo così potrò scodinzolare amaramente invece che abbaiare all'indirizzo di ciò che già mi pare di riconoscere".
Con la differenza che i cani abbaiano, appunto, a quelli che NON riconoscono.
Molti criticucoli, invece, abbaiano a quel che - poveretti - CREDONO di riconoscere.
Per fortuna nostra e, soprattutto, loro, non tutti coloro che si occupano di "critica" musicale son così.
Il termine stesso, "critica", mi fa venire l'orticaria (Marx lo prese amabilmente in giro in un suo saggio, "Critica della critica critica").
Qui però il discorso si farebbe lungo, e dall'apparenza - non certo alla sostanza - erudito.
Se vuoi lo affrontiamo, anche solo per tua curiosità. Ma ci vuole una pagina intera.
Per rispondere invece all'altra tua domanda, su quel che può definirsi innovativo o no, credo che si sia verificata ultimamente una specie di rivoluzione copernicana. Non più la sperimentazione si riferisce a un dato di fatto scientifico universale, com'era almeno pretesa dell'arte moderna, fin dai tempi in cui avvertiva la sacrosanta necessità di emanciparsi da canoni tradizionali. No, adesso è diventata un fatto personale, che ha a che fare con esperienze delimitate di individui o di pubblico. Se percorro una strada artistica che IO non ho ancora percorso, sono innovativo e sperimentale (anche se è ovvio che altri l'hanno già fatto prima).
Sono innovativo se mischio insieme elementi che, contestualmente, non ci si aspettava di vedere apparire.
Oppure se utilizzo tecnologie che, fino a poco tempo fa, erano appannaggio di altre culture.
E così mentre le sperimentazioni all'IRCAM lo erano in senso tecnico e "universale", o innovativi erano strumenti quali il Theremin o il Trauthonium, o i Moog, la loro utilizzazione e volgarizzazione nella musica pop è stata innovativa in senso relativo, relativo alla musica leggera.
Oppure la bulimìa strumentale di Tom Waits è stata innovativa relativamente alla canzone d'autore folk americana (ma non ad altre forme di musica leggera come i musical, ad esempio).
Allo stesso modo, si potrebbe leggere come innovativa la mia scelta, nel prossimo mio album, di frequentare sonorità vintage, trasferendo timbri abituali nel "progressive" alla canzone (cosiddetta d'autore), alla canzone che dice anche. Ma si tratta di una sperimentazione mia personale e di una "novità" del tutto relativa.
Che poi mi trovi a condividere, se capita, suoni con gruppi attuali di Doom metal o coi Daft Punk, è un caso. Anche i musicisti del "tuo" Francesco Guccini registrarono Radici con l'entusiasmo dei neofiti alle prese con il moog e con l'orecchio attento ai gruppi della pop music di allora. Nel bene e nel male, parte della freschezza del disco sta proprio in questo insolito connubio fra intenzione pop e testi insieme naif e profondamente letterari, sia - come dicevo all'inizio, rispondendo alla tua prima domanda - in quanto si riferiscono a molte letterature precedenti, con fior di citazioni, sia in quanto fondatori di una letteratura autonoma.
Max Manfredi live con il Quintetto Dremong alla Festa dell'Inquietudine 2013 a Finale Ligure (dal profilo facebook di Max)
RR: Avevo iniziato con due domande, lunghe, da cui intavolare un discorso in fieri; le hai sapute trasformare in tanti input brevi, che aprono discorsi lunghi, succosi, avvincenti. Ce ne sarebbero parecchi da affrontare a partire da quel che mi hai scritto. Non voglio però abusare del tuo tempo, perciò in chiusura mi limito alla domanda classica di fine intervista: progetti per il futuro? Mi hai già parlato di due attività parallele, con il quintetto Dremong da un lato e con Giorgio Li Calzi dall'altro; tra l'altro Amore di Dublino, primo assaggio del lavoro con Li Calzi, ha avuto un ottimo riscontro sul blog de Il fatto quotidiano.
E infine, se ti va di affrontare il discorso della critica che abbiamo lasciato in sospeso, sarò ben lieto di dedicargli un post a parte sul blog di Testuggini. Partendo magari proprio da Marx, che hai nominato; che pur dall'alto del suo sommo intelletto (e in qualche modo della sua preveggenza) rimase tra le maglie ottocentesche dell'idea che la storia avesse uno scopo, che procedesse insomma in maniera vettoriale e progressiva verso una realizzazione necessaria.
MM: Hai ragione, infatti la mia citazione di Marx era paradossale. Non ne sono uno studioso. So che lui voleva, agognava, nella società senza classi, la fine della storia. La Aufhebung hegeliana, se ben ricordo, nella sua dialettica, abolisce ciò che pone in evidenza (del resto aufheben in tedesco significa sia abolire che sollevare. E c'era un gioco di parole antinazista che diceva "Aufgehobene Rechte" e si poteva tradurre sia "destre alzate" sia "diritti aboliti").
Per quanto riguarda il Romanticismo, pensavo, da studente, che la linea ciclica e orizzontale della storia (quella che, mi pare, porterà all'idea dell'Eterno ritorno nietzschano) si congiungesse con quella progressiva e vettoriale, incontrandosi, caso strano, nel simbolo di una Croce.
Progetti? Sì, son questi due album differenti. Uno mio, fatto coi miei musicisti: qualcuno abituale, qualcuno nuovo. E l'altro fatto in coppia con Giorgio Li Calzi. Come produrremo, e con chi, quest'ultimo, non so. Per il primo voglio mettere in piedi un'ipotesi di fundraising.
In ogni caso non cascherò nell'equivoco di produrre dischi o far concerti per la mia soddisfazione, e magari a mie spese. Se non verificassi un guadagno reale e, questo sì, progressivo, smetterei anch'io, come hanno fatto, per motivi diversi, altri molto più fortunati ed un po' più anziani di me.
Amore di Dublino
RR: Grazie per la tua disponibilità!
Perdere una voce come quella di Max Manfredi sarebbe un danno enorme. La mia posizione non è neutrale, a conti fatti mi si può definire un suo fan; ma reputo Max uno dei più grandi esploratori dei mille modi espressivi che la canzone può offrire; e uno degli artisti più lucidi e consapevoli che operino sulla scena oggi. Auguro, forse a me prima che a lui, che i nuovi progetti possano avere l'eco che merita. Perché so che questa è un'epoca ingrata per chi fa arte, soprattutto se conscio del proprio ruolo; ma voglio ancora avere la speranza che una voce così grande non finisca per mettersi a tacere. Sarebbe bello se a tenere viva questa speranza contribuissimo tutti. Possiamo iniziare facendoci suoi raisers. Ringrazio Max per avere dedicato il suo tempo a questo piccolo blog. Ai nostri lettori do appuntamento a presto. E ne approfitto per ringraziarli, perché sono sempre di più.
Online “Sui miei passi”, il secondo estratto dal mio CDTestuggini
Per voi la canzone d'autore è fatta di chitarre acustiche e atmosfere al limite della noia? Sui miei passi può farvi cambiare idea. Il mio nuovo brano è spiazzante: elettrico, sintetico, acido. Effetti, distorsioni ed elettronica sono al servizio di un testo che non lascia respiro. Ascoltatelo su soundcloud e youtube. E scaricatelo: è in free download.
È ancora possibile ascoltare e scaricare il primo estratto Tamperdù.
Il cd Testuggini sarà presentato il 28 giugno 2013 al ParcoVigna del Mulino di Torrechiara. Interverranno diversi ospiti: Marina Fava, speaker di Radio Rumore e collaboratrice di Gazzetta di Parma; Enrico Fava, pianista di Maninblu e Anime Salve; Attilio Poletti, leader degli EUA; e Francesco Pelosi, cantautore e mio collaboratore storico.
A 15 anni mi abbonai alla rivista di Smemoranda. Si chiamava SBS - Smemoranda brothers and sisters, un titolo che fa molto anni '90. E infatti erano gli anni '90. Era gratis, si trovava il tagliandino sull'agenda. Era una rivista molto interessante, che trattava temi “giovanili” in maniera meno scema di quello che all'epoca faceva Italia uno. SBS lasciava spazio alle velleità letterarie dei lettori, pubblicava (ovviamente) le loro lettere, e nella rubrica errare è umano, ma ti fa sentire divino pubblicava le esilaranti cazzate che alunni e prof dicevano a scuola. Mandai al giornale lettere e racconti; non pubblicarono nulla. Ma pubblicarono le cazzate che inviammo dalla mia classe, di cui teneva diligentemente nota il mio compagno di banco Giorgio Montanari. Fummo l'orgoglio della terza elle.
In una rivista giovanile non poteva mancare lo spazio musicale. Fu da quelle pagine che vidi sporgersi per la prima volta il volto del sosia di Dustin Hoffman; in un trafiletto ad angolo di pagina, appariva la copertina di More best of Leonard Cohen.
Separati alla mescita
Due righe abbastanza anonime dedicate all'artista completavano il quadro. Fu abbastanza per incuriosirmi. La settimana dopo accompagnai la mia mamma a fare la spesa all'esselunga, e nella sezione cd (che all'epoca era figa quasi quanto un negozio di dischi) mi imbattei proprio nella copertina che avevo visto la settimana prima su SBS. Infilai il cd nel carrello; mia madre non mi ha mai viziato, ma riguardo a libri e dischi era molto liberale, le faceva piacere che io leggessi e ascoltassi.
Quello fu il mio primo incontro con Leonard Cohen. Mi lasciò sconvolto, quasi svuotato. Provai al cospetto dei suoi testi quella sensazione che si dovrebbe provare al cospetto del sacro – e non è un caso, oggi lo so: Cohen prende molti ingredienti dall'ambito del sacro per usarli nella sua arte.
In pochi giorni imparai sulla chitarra tutte le canzoni del cd. I miei voti in inglese, già implementati dall'incontro con Bob Dylan (ne parlerò), ebbero un'impennata.
Purtroppo non conservo più la rivista,
ma conservo ancora il cd e la chitarra
Cohen ha iniziato a far dischi tardi, a 34 anni, ma prima era già noto come poeta e come scrittore; non è un autore molto prolifico, dal 1968 a oggi ha pubblicato solamente 13 album di inediti. Ma la qualità di ogni singolo lavoro è elevatissima. Nel 1997 uscì in Italia Stranger music, un'antologia degli scritti e delle canzoni di Cohen compilata dall'autore stesso con integrazioni e varianti che differivano dagli originali già editi. La comprai nel 2000, l'ultima copia della Feltrinelli. L'unico titolo di Cohen presente nella libreria, una rimanenza già fuori catalogo. Il ritorno di Cohen nelle librerie iniziò nel 2002, a opera di Fazi Editore, seguita a ruota da Minimum Fax e Fandango; tutti sul pezzo, perché Cohen era appena tornato a far dischi dopo 10 anni di silenzio.
La copertina di Stranger Music
Stranger Music è un libro che mi ha cambiato la vita, forse il mio secondo libro sacro, dopo il millenote giallo. Lo leggevo assiduamente ascoltando i dischi di Cohen, mi fissavo sulla sua pronuncia, mi concentravo sulle varianti e sul labor limae dell'autore. Come sempre, trascurando la scuola (tranne latino).
Leonard Cohen mi ha accompagnato dall'adolescenza in poi, la sua opera mi è cresciuta dentro. È un autore in cui mi sono riconosciuto nei momenti più disperati, più gioiosi, comunque indelebili. Credo che sia stata la sua influenza a spingermi verso lo studio dell'ebraico. E al primo anno di corso di ebraico ho conosciuto Alice, la mia ragazza, con cui adesso convivo felicemente. Per stare con lei sono andato via da Parma. Quindi in ultima analisi è colpa di Cohen se adesso vivo a Milano... e di colpo non so più se volergli bene o no!
Ma mi sa che lo posso perdonare. Quel che spero è un giorno di avere su qualcuno l'effetto che lui ha avuto su di me. Una speranza ambiziosa.
A presto con nuovi maestri!